Fernanda Ferraresso
“Il mare è solo il mare, sprovvisto di legami,
si annulla e si ricompone,
correndo come un toro blu sulla sua stessa ombra..."
Cecilia Meireles- Mare assoluto -
Si apre sul mare, il video di Elio Scarciglia, si apre su una lingua di ma(d)re.
Il ventre, volume di acqua amniotica che tutti ci nasce e ci accoglie, ci partecipa del ciclo dei
(vi)venti, delle piogge, della vita, della morte.
Si rincorre il mare, quasi avesse qualcosa da chiedersi per noi.
Onda dopo onda cerca se stesso e trascina tutti noi fino a riva, dentro il suo unico enorme occhio: blu, bluoltremare.
Fino alla schiuma o fino all’orlo del globo. In quel suo occhio pieno
d’acqua e cielo in cui non vince mai, s’incatena allo schianto, a quel
suo cantare un tempo di congedo per rinascere.
A questo ci abitua il mare : a perderci, a dissolverci, a frantumarci e sentirci sempre appartenenti.
L’occhio che si lancia in un vestibolo di luci fino all’orizzonte cerca
qualcosa, qualcosa in cui indagare, cerca un legame in quel paesaggio
disciolto da vincoli e certezze. Cerca di ES-PER-IRE.
Danza rimbalza si affonda e rinasce il mare. Allude e gioca, senza illusione di alcuna visione.
I m m a r g i n a, argina i confini, non immagina.
Urla e si acquieta, romba, impazzisce di luce, vibra. E nessuno sa, nessuno vede ciò che lui vede.
E’ un lungo treno il mare, è una lanterna fatta di milioni di vite, di sguardi, di respiri, di costellazioni.
Con vagoni di bagliori pesci e salti, è un sogno e la parola che si sfalda a riva.
È roccia impetuosa che crepita di fuochi cangianti.
È una miccia di sorrisi di donna.
È la zattera di tutti i paesi della terra.
È famiglia e destino è viaggio e rancore è guerra e ribellione.
È paura e corrosione, un sogno che continua a sognarci, a disegnarci
profilo e desideri. Un paese come un mare, un mare di persone e onde,
onde di suoni, cicli di vento nei respiri delle genti e delle terre,
delle foreste e delle savane, nelle deserte rocce della distanza. Noi.
Noi così assoluti e sciolti, una goccia con altre, gocce, eppure
lontani, distanti, infiniti dentro la nostra piccola misura d’uomini.
Noi qui, dentro quell’occhio di una camera buia, che ci e(s)terna in una
pelle di pellicola: foto-grammi di meraviglia, poiché non c’è corpo che
abbia un corpo se non nel nostro, ciascuno ospite di quella luce
magica, là, sullo schermo che si apre il petto per mostrare le visioni
di ELIO. Lieve, aerea immagine del senso della vita, che si diffonde in
segni e sogni, che ci disegna nuovi fermenti nel cuore e nella mente,
che ci apre distanze in cui sostare, senza direttrici obbligatorie.
Maree, di luci e ombre, derive dei sensi sfiorati, addirittura sfioriti
per formulare colori, tagli, ferite di grazia, viaggi dentro la mente,
dentro la logica che sguscia il significato, vuole la mandorla nascosta
in quei baccelli scatto per scatto. Una immersione a cielo aperto, a
cuore battente mentre le cose ci invadono, vengono a noi, in noi, in
maree continue che superano la barriera della logica, forzano il buio
della paura, dell’incomprensione di ciò che sta oltre, oltre la fuga di
quell’orizzonte che si conclude nell’occhio-globo di ogni uomo, nel suo
globulo di rossa passione cresciuta nel sangue.
Aria acqua terra fuoco: dall’alto al basso la coniugazione del verbo che
si fa congiunzione, fino alla radice dell’essere che brilla nella sera,
fino al limite del tramonto, fino al prossimo congedo.
Intimo, profondo lavoro per percepire e toccare il peso di ciò che vive
di luce e di ogni suo movimento, senza altre voci se non quelle dei
corpi, dei corpi interi e intatti. Mare, fuoco, vento come corpi
naturali e la natura profonda dell’uomo, che sembra voler vivere solo,
ancorato ai pensieri, taglienti lame di acciaio che lo separano e lo
avviano a ciò che sembra essere la sua attitudine: l’abitudine al
congedo.
Fernanda Ferraresso (architetto e poetessa – PD)